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  Qualcosa sulla giuve
 

STORIA DI SCIPPI E SCUDETTI
di Adalberto Bortolotti

All'inizio fu Rosetta. Poi vennero una partita con l'Inter del '61, un gol di Turone e uno di Graziani annullati, molti rigori negati. Fino al caso Ronaldo. Indagine sui troppi favori alla Vecchia Signora

La clamorosa svista dell'arbitro Pasquale Rodomonti che, domenica 19 aprile, non ha visto un regolarissimo gol dell'Empoli. L'inspiegabile cecità del suo collega Piero Ceccarini che, domenica 26 aprile, non ha assegnato un nettissimo rigore all'Inter per un fallo di Mark Iuliano su Ronaldo. In soli otto giorni ombre pesantissime si sono addensate sul primato della Juventus. Già in precedenza al centro dei sospetti per tutta una serie di decisioni arbitrali controverse (tre i casi più vistosi: gol non visto dell'Udinese, rigori evidentissimi negati alla Roma e alla Lazio). Un campionato condizionato da errori a senso unico, come ha riconosciuto Pierluigi Collina, il principe dei fischietti italiani. È così riesplosa l'annosa polemica sui favoritismi di cui godrebbe la società bianconera molto vicina al suo scudetto numero 25. Che verrebbe trattata coi guanti bianchi a causa della soggezione psicologica che eserciterebbe con la sua potenza e il suo blasone.

È una storia che parte da molto lontano, secondo il rumoroso partito dei detrattori juventini. Esattamente dal 1913, quando al termine del girone eliminatorio piemontese la Juventus si ritrovò al sesto e ultimo posto. Giusto in quell'anno si disputava quello che può essere considerato il primo campionato di calcio autenticamente italiano, con partecipazione anche del Sud, sino a Napoli. E per l'occasione era stato varato il meccanismo, ancora sconosciuto, delle retrocessioni. L'ultimo posto comportava il declassamento in seconda categoria. Per la Juventus la sola eventualità equivaleva a un dramma. Fu presa perfino in seria considerazione l'ipotesi di sciogliere il club. Ma erano tempi di regolamenti elastici. Se il girone piemontese nella stagione successiva si presentava completo e agguerrito, a quello lombardo mancava un'unità per far conto pari. Ed ecco l'idea luminosa: iscrivere la Juventus di Torino al girone lombardo, in spregio alla geografia, ma in omaggio all'opportunità. Questa gherminella, che nei sacri testi figura come .un capolavoro di diplomazia. dei dirigenti juventini, consente tuttora alla Vecchia Signora di fregiarsi di un primato, condiviso, guarda caso proprio con l'Inter: non essere mai retrocessa.

CENTOMILA LIRE A ORSI. Quando nel 1923 la potente famiglia degli Agnelli decise di annettersi la Juventus, e il senatore Giovanni ordinò al giovane figlio Edoardo di assumerne la presidenza, il club torinese si proiettò decisamente, in anticipo sui tempi canonici, nell'orbita del professionismo. Già l'ingaggio di Viri Rosetta dalla Pro Vercelli aveva sollevato scandalo, ma per Raimundo Orsi detto Mumo, la stella d'Argentina, considerato la più forte ala di tutti i tempi, almeno sino a Garrincha, si superarono i limiti. Per vincerne la resistenza, la Juventus gli riconobbe centomila lire d'ingaggio, una Fiat 509 e uno stipendio di ottomila lire mensili, il tutto rapportato all'anno 1928. L'Argentina insorse, la Federazione negò il nullaosta, ma tutto si risolse con una quarantena, al termine della quale la Juventus si ritrovò un fuoriclasse decisivo per la conquista dei cinque scudetti consecutivi degli Anni Trenta.

COME NEL '61. A intervalli più o meno regolari, nel dopoguerra, un Agnelli ricompariva in prima persona a reggere le sorti del club di famiglia. Prima Gianni, poi Umberto, i due figli di Edoardo. Fu proprio durante la presidenza di Umberto (aveva assunto la guida della Juventus a soli ventun anni), che scoppiò uno scandalo dalle singolari analogie con quello che ha appena sconvolto il nostro calcio e dintorni. Perché dall'altra parte della barricata c'era anche quella volta l'Inter e perché alla guida dell'Inter c'era un Moratti, Angelo, il padre di Massimo (l'attuale presidente), petroliere di successo. Nella stagione '60-61 alla guida tecnica della squadra fu chiamato Helenio Herrera, "il mago", strappato a peso d'oro al Barcellona. L'Inter in quel campionato era partita a mille, accumulando largo vantaggio. Herrera aveva preteso un po' troppo dai suoi, sul piano atletico; la Juventus aveva operato prima un paziente avvicinamento, poi il sorpasso. Lo scontro diretto, al Comunale di Torino, il 16 aprile 1961, si configurava come il giudizio di Dio. Esattamente come in questa primavera 1998. Sotto la spinta della folla, i cancelli cedettero, sulle gradinate si ritrovarono diecimila spettatori in più. Si riversarono in campo, accucciandosi lungo le linee laterali. L'arbitro era Gambarotta, di Genova. Per un po' tollerò la situazione, si cominciò a giocare e l'Inter colse anche una traversa. Ma i nerazzurri insistevano per la sospensione e l'arbitro li accontentò dopo mezz'ora. Il giudice sportivo, da regolamento, assegnò partita vinta all'Inter per 2-0. La Juventus ricorse. Ora c'era un particolare, che oggi risulterebbe inconcepibile. Umberto Agnelli non era soltanto il presidente della Juventus, era anche il presidente della Federazione Calcio. E quando la Caf (Commissione di Appello Federale), in terzo e ultimo grado, sconfessò la sentenza e ordinò la ripetizione del match, .per la buona fede della società ospitante., Moratti non ci vide più. Ordinò di schierare la squadra ragazzi e così Herrera fece. La Juventus non usò riguardi, né concesse sconti. Vinse 9-1 e Sivori realizzò sei gol, un record. Vittorio Pozzo commentò: .Un'offesa allo sport..

VADE RETRO, ROMA. Per singolare nemesi, l'Inter di Moratti ereditò dalla Juve non solo la leadership calcistica, negli anni Sessanta, ma anche i privilegi riservati ai potenti. Di quell'Inter si ricordano oltre cento partite senza un solo rigore contro. Non a caso, quando Agnelli volle la rifondazione di una grande Juventus, accanto a Giampiero Boniperti presidente chiamò Italo Allodi, che dell'Inter morattiana era stato il discreto e lungimirante tessitore. La Juventus riprese a vincere, contro avversari che si alternavano all'opposizione, e trovavano un comune terreno d'intesa solo nelle lagnanze sui verdetti del campo. Il Torino perse per un punto lo scudetto '72, anche perché l'arbitro Barbaresco gli cancellò un clamoroso gol segnato a Genova, contro la Sampdoria, dal mediano Aldo Agroppi. La palla aveva abbondantemente varcato la linea bianca, prima di essere ricacciata da un difensore sampdoriano: l'episodio anticipa perfettamente i gol fantasma che hanno avvelenato questa stagione. Il Torino uscì sconfitto 2-1, il gol di Agroppi a due minuti dalla fine sarebbe valso il pari e un punto in più in classifica. Rocamblesco, ma senza condizionamenti arbitrali, fu lo scudetto successivo. La Juve (impegnata nell'ultima giornata all'Olimpico contro la Roma) scavalcò il Milan (che, dopo la conquista della Coppa delle coppe, franò a Verona) e distanziò la Lazio fermata a Napoli con un gol di Antonello Cuccureddu, a cinque minuti dalla fine. Qualche mese dopo, il presidente della Roma Gaetano Anzalone epurò mezza squadra.

Maggior sensazione ancora destò la conclusione del campionato '80-'81, contrassegnato dal lungo, appassionante duello della Juve di Giovanni Trapattoni con l'emergente Roma di Nils Liedholm. C'era stato un burrascoso prologo, quando in occasione del derby col Torino l'arbitro Agnolin aveva convalidato ai granata un gol di Francesco Graziani inficiato, secondo i giocatori juventini, da un fallo al portiere Dino Zoff. Roberto Bettega si era reso protagonista di un acceso diverbio con l'arbitro, ed era stato pesantemente squalificato. La Juventus si sentiva quindi in credito con la classe arbitrale. Lo scontro scudetto con la Roma andò in scena a Torino il 10 maggio 1981, con la Juventus avanti di un punto in classifica. Partita a lungo bloccata sul pari, che avrebbe fatto il gioco della capolista, sin quando il difensore romanista Ramon Turone, spintosi all'attacco, realizzò il gol decisivo con un perfetto colpo di testa. L'arbitro Bergamo, livornese come Ceccarini, consultò il guardalinee e annullò per fuorigioco. Alla moviola, la posizione di Turone apparve regolare. Nell'occasione, il presidente della Roma Dino Viola pronunciò una frase rimasta celebre: .Lo scudetto è stato assegnato per una questione di centimetri..

IERI BRADY, OGGI RONALDO. Già pesantemente segnata dai sospetti, nel campionato successivo la Juventus si trovò invischiata in un interminabile testa a testa con la Fiorentina, che le scatenò contro le ire (non ancora placate) del regista Franco Zeffirelli. Juventus e Fiorentina lottarono punto a punto per l'intera stagione, con la Roma in scia, e a una giornata dalla conclusione si ritrovarono in perfetta parità, 44 punti a testa. L'ipotesi dello spareggio, conclusione tutto sommato ideale per stemperare i veleni, appariva la più probabile. Per la Juventus a Catanzaro e la Fiorentina a Cagliari la vittoria era considerata poco più che una formalità. A Catanzaro l'arbitro Pieri concesse un rigore alla Juventus, che lo trasformò con Liam Brady (già ceduto per far posto a Michel Platini, ingaggiato personalmente dall'Avvocato) e lo difese sino al termine. A Cagliari anche la Fiorentina era andata in gol, con Graziani, ma l'arbitro Mattei aveva annullato il punto, fermando così il risultato sullo zero a zero. Ancora una volta si scatenò il finimondo, sul quale cadde però provvidenziale la cappa del Mundial, che si sarebbe concluso con il trionfo in Spagna dell'Italia.

Di strapotere bianconero si è tornati a parlare dopo che nel '94 un altro ribaltone societario ha pensionato definitivamente Boniperti e riportato in auge Umberto Agnelli, affiancato da Bettega e poi da Antonio Giraudo e Luciano Moggi. Una Juventus così diversa rispetto al passato, non di rado dimentica del suo stile proverbiale, tesa a coniugare prosaicamente vittorie e bilancio. Ma ugualmente finita nel calderone delle accuse, delle allusioni. Lo scorso anno il Parma, lanciato alla rimonta, fu fermato nel testa a testa di Torino da un calcio di rigore (arbitro Collina, il migliore). E in questa stagione due gol vistosi non contabilizzati a Udinese e Empoli, e i rigori non assegnati a Roma e Lazio. Fino alla tempesta con l'Inter, il fallo ignorato su Ronaldo e la conseguente crocifissione di Ceccarini. La psicosi del sospetto a quel punto è dilagata.